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Ovidio


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Tacito
De oratoria,32
 
originale
 
[32] Nec quisquam respondeat sufficere, ut ad tempus simplex quiddam et uniforme doceamur. primum enim aliter utimur propriis, aliter commodatis, longeque interesse manifestum est, possideat quis quae profert an mutuetur. deinde ipsa multarum artium scientia etiam aliud agentis nos ornat, atque ubi minime credas, eminet et excellit. Idque non doctus modo et prudens auditor, sed etiam populus intellegit ac statim ita laude prosequitur, ut legitime studuisse, ut per omnis eloquentiae numeros isse, ut denique oratorem esse fateatur; quem non posse aliter existere nec extitisse umquam confirmo, nisi eum qui, tamquam in aciem omnibus armis instructus, sic in forum omnibus artibus armatus exierit. Quod adeo neglegitur ab horum temporum disertis, ut in actionibus eorum huius quoque cotidiani sermonis foeda ac pudenda vitia deprehendantur; ut ignorent leges, non teneant senatus consulta, ius [huius] civitatis ultro derideant, sapientiae vero studium et praecepta prudentium penitus reformident. In paucissimos sensus et angustas sententias detrudunt eloquentiam velut expulsam regno suo, ut quae olim omnium artium domina pulcherrimo comitatu pectora implebat, nunc circumcisa et amputata, sine apparatu, sine honore, paene dixerim sine ingenuitate, quasi una ex sordidissimis artificiis discatur. Ergo hanc primam et praecipuam causam arbitror, cur in tantum ab eloquentia antiquorum oratorum recesserimus. Si testes desiderantur, quos potiores nominabo quam apud Graecos Demosthenem, quem studiosissimum Platonis auditorem fuisse memoriae proditum est? Et Cicero his, ut opinor, verbis refert, quidquid in eloquentia effecerit, id se non rhetorum [officinis], sed Academiae spatiis consecutum. Sunt aliae causae, magnae et graves, quas vobis aperiri aequum est, quoniam quidem ego iam meum munus explevi, et quod mihi in consuetudine est, satis multos offendi, quos, si forte haec audierint, certum habeo dicturos me, dum iuris et philosophiae scientiam tamquam oratori necessariam laudo, ineptiis meis plausisse."
 
traduzione
 
32. ?E non mi si risponda che basta apprendere di volta in volta nozioni superficiali e generiche. Tanto per cominciare, ben diverso ? l'uso di ci? che abbiamo fatto nostro e di ci? che abbiamo preso a prestito, ed esiste ovviamente una grande differenza tra il possedere davvero o avere da altri ci? che esponiamo. In secondo luogo, la buona conoscenza di numerose discipline orna il nostro discorso anche quando trattiamo d'altro e, quando meno lo credi, essa campeggia e spicca. E non se ne accorge solo l'ascoltatore dotto e smaliziato, ma anche il grosso pubblico, e subito, nella lode che gli manifestano, salutano uno che ha studiato come si deve, che ha percorso tutte le tappe dell'eloquenza, che insomma ? un vero oratore; quale sostengo non esistere o non essere mai esistito se non quando scende nel foro armato di tutto questo vario sapere, come il soldato scende in battaglia in pieno assetto di guerra. Gli abili parlatori di oggi, invece, trascurano questa cultura al punto che si pu? cogliere nelle loro arringhe anche la loro lingua quotidiana coi suoi brutti e deplorevoli difetti: ignorano le leggi, non tengono presenti i decreti del senato, giungono a rendere ridicolo il diritto civile, guardano con profondo sgomento all'apprendimento del sapere e ai precetti della filosofia. Degradano l'eloquenza, confinandola, come se fosse bandita dal suo regno, in pochissime idee e in miserevoli battute sentenziose; sicch? lei che un tempo, signora di tutte le arti, riempiva, col suo magnifico corteggio, i petti, ora, sconciata e mutilata, senza seguito n? onori, direi quasi senza una sua dignit? d'origine, la si impara come uno dei mestieri pi? volgari. Questa ritengo essere la prima e principale causa del nostro cos? grave scadimento rispetto all'eloquenza degli antichi oratori. Se si vogliono delle testimonianze, quale pi? autorevole posso produrre se non quella, tra i Greci, di Demostene, che la tradizione vuole come uno dei pi? appassionati discepoli di Platone? E Cicerone ci dice testualmente, se ben ricordo, che quanto egli ? come oratore lo deve non alle botteghe dei retori, ma ai portici dell'Accademia. Altre cause vi sono, importanti e gravi, che tocca a voi mettere in luce, perch? il mio compito l'ho ormai assolto e, com'? mia abitudine, ho urtato un numero abbastanza grande di persone che, se avessero ascoltato le mie parole, direbbero, ne sono sicuro, che, nel lodare il sapere nel campo del diritto e della filosofia, ho solo reso omaggio a mie piccole vanit?.?
 

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